top of page

Idrosadenite: la mia verità a viso scoperto, ma lasciamo libertà a chi non ce la fa



Giusi Pintori, paziente, caregiver e direttrice di Passion People APS
Giusi Pintori, paziente, caregiver e direttrice di Passion People APS

L'idrosadenite è una malattia che può colpire diverse parti del corpo e, a volte, condizionare in modo serio la vita di chi ne soffre. Io, però, riconosco di essere stata fortunata: non ho dovuto affrontare mutilazioni come invece succede a molte altre donne. Ho potuto continuare a indossare canottiere e costumi da bagno senza paura.

In questi giorni, il dibattito sulla presenza della malattia nei media e sulla sua narrazione pubblica si è acceso grazie al Festival di Sanremo , portando all'attenzione del pubblico una questione che tocca molti pazienti cronici: è giusto che la malattia sia raccontata nei grandi eventi mediatici? Si rischia la spettacolarizzazione del dolore? Oppure è necessario dare voce a chi soffre per combattere il silenzio ei pregiudizi?

Come persona che vive con una patologia cronica, comprendendo entrambe le posizioni. Dare visibilità alle malattie è fondamentale per sensibilizzare il pubblico, per far conoscere la realtà di chi convive con la sofferenza e per promuovere ricerca e cure migliori. Allo stesso tempo, però, la malattia non deve diventare un elemento di spettacolo o un'arma retorica per suscitare compassione .

In quei momenti sento di avere contemporaneamente un dono e un peso. Da un lato, ringrazio di non aver dovuto subire interventi estremi; dall'altro, mi sento in dovere di dare voce a chi, invece, porta sul corpo segni molto evidenti di questa malattia. Non tutti abbiamo lo stesso percorso, né lo stesso corpo.

Malattia e rappresentazione pubblica: una scelta personale

Per molte persone, infatti, l'idrosadenite lascia cicatrici ben visibili. Eppure, anche se il mio corpo sembra “quasi integro”, nasconde lotte e sofferenze non meno profonde. L'idrosadenite non è solo un problema fisico: colpisce la mente, provoca disagio nei rapporti con gli altri, può genera insicurezze sulla propria femminilità e vita sessuale.

C'è chi vorrebbe gridare per il dolore ma non trova la forza, chi si sente tradito dalla propria pelle, chi ha paura di essere rifiutato dal partner o di essere osservato con pietà o giudizio a causa di un braccio, una gamba o un'altra parte del corpo segnata. In quell'oscurità di sentimenti, emerge la voglia di alzare la mano e dire: “Esisto e soffro per questa malattia” .

Molti mi dicono: “Brava, fai bene a parlare. I pazienti devono farsi sentire” . È vero, raccontarsi aiuta a informare le persone, a creare unione tra chi vive la stessa condizione ea combattere i pregiudizi sull'idrosadenite. Ma non è un obbligo.  Non tutti hanno il coraggio o la forza di esporsi, e questo va compreso e rispettato.

Io ho deciso di condividere la mia storia. Con il tempo, ho imparato che ciò che teniamo nascosto può pesarci più di quanto crediamo. Io sono la portavoce di chi non riesce a parlare. Vorrei incoraggiare chi ne ha la possibilità di raccontarsi con fierezza, e allo stesso tempo difendere chi preferisce restare in silenzio, perché ognuno ha un cammino personale e unico.

Dignità e autodeterminazione: raccontare la malattia è un diritto, non un dovere

La recente discussione sulla rappresentazione della malattia nei media mi porta a riflettere su un punto cruciale: chi soffre ha diritto alla visibilità, ma anche alla riservatezza. Nessuno deve sentirsi obbligato a mostrare il proprio dolore per ottenere ascolto o riconoscimento.

Ammetto di sentirmi privilegiata. Posso andare al mare in costume e indossare una canottiera senza troppi problemi. A volte bastano cerotti e via, vado al mare. E non sempre è così, spesso vado serenamente. Ma non è così per tutti. Vorrei che la possibilità di vivere il proprio corpo in libertà fosse estesa anche a chi, a causa dell'idrosadenite, deve affrontare ferite più visibili o interventi più invasivi.

Il corpo è sacro e va rispettato. Eppure, chi è colpito da questa malattia deve spesso combattere contro sentimenti di vergogna, paura e giudizi degli altri. Vorrei far sapere che esiste un modo di convivere con l'idrosadenite che non ci toglie la nostra identità.

Dare voce senza imporre una voce

Continuerò a sensibilizzare le persone: non solo per me stessa, ma anche per chi ha bisogno di solidarietà. Tuttavia, mi chiedo di non giudicare chi non ce la fa a parlare apertamente o a mostrare le proprie ferite.

Esorto chi ne ha la forza a difendere tutti i pazienti: chi ha forme più lievi dell'idrosadenite può alzare la voce e chiedere cure migliori, più ricerca e programmi di prevenzione più efficaci.

Vivere con l'idrosadenite significa un percorso fatto di molteplici storie. La mia non è deturpante, sebbene sia stata molto dolorosa e talvolta lo sia ancora, ma non per questo meno vera. Parla di sofferenze non sempre visibili, di speranza, di voglia di normalità e di amore per un corpo che, nonostante tutto, continua a sostenermi giorno dopo giorno.

Penso a chi si sente sconfitto da questa malattia: non siete soli.  Ciascuno ha il diritto di trovare la propria strada, sia che scelga di condividere, sia che preferisca la riservatezza. L'importante è ricordare sempre che, dietro ogni cicatrice (esterna o interna), c'è una persona che chiede solo di essere compresa, rispettata e, quando possibile, amata.

In chiusura, mi piace richiamare la parola “speranza” , perché se c'è una cosa che ho imparato, è che il corpo non è mai un limite, ma lo spazio in cui prende forma la nostra storia più autentica.

Diamo valore a ogni esperienza: chi sceglie di raccontarsi merita ascolto, chi sceglie il silenzio merita rispetto. Il diritto alla narrazione della malattia è un diritto alla dignità, in ogni forma.

Giusi Pintori

 
 
 

Comments


logo scritta verticale
  • Facebook
  • TikTok
  • Instagram
  • YouTube
  • Twitter
  • LinkedIn

©2023. Copyright Passion People

bottom of page