Supporto autentico: perché aggrapparsi a un medico non è abbastanza
- 4 lug
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Quando stai male, fisicamente o emotivamente, è naturale cercare una figura forte, rassicurante, che ti guidi. A volte, questa figura è un medico: ti ascolta, ti guarda in faccia, ti risponde con gentilezza — e subito si crea qualcosa. Ti senti finalmente “visto”.
Ma attenzione: da lì a sviluppare una dipendenza emotiva il passo è breve.
Cos'è la dipendenza dal medico?
Non è un disturbo. È un meccanismo umano: quando sei vulnerabile e trovi qualcuno che sembra capirti, puoi finire per identificare quella persona come unica fonte di salvezza. Questo legame può diventare così intenso da renderti cieco a ciò che non funziona nella cura.
Alcuni segnali:
Ti senti in colpa solo al pensiero di cambiare medico
Tieni per te domande o dubbi per paura di deluderlo
Accetti tutto anche quando non ti convince
Ti convinci che "almeno mi conosce, meglio di niente"
Pensi più a “non disturbare” che a guarire
Se ti riconosci in qualcuno di questi comportamenti, non c’è da vergognarsi, ma c’è da riflettere.
Il medico giusto non vuole che tu dipenda da lui. Vuole che tu stia meglio.
La relazione medico-paziente è al centro della medicina da sempre. Michael Balint, medico e psicoanalista ungherese, la definiva “il farmaco più usato, e il meno studiato”. Oggi ne parliamo come alleanza terapeutica: un rapporto collaborativo, basato su fiducia, rispetto, ascolto e corresponsabilità.
I modelli di relazione, secondo la letteratura, sono diversi:
Attivo-passivo: il medico comanda, il paziente subisce
Guida-cooperazione: il medico decide, il paziente esegue
Partecipazione reciproca: medico e paziente collaborano, decidono insieme
Solo quest’ultimo modello è davvero curativo e rispettoso.
Secondo uno studio pubblicato su Patient Education and Counseling, le relazioni partecipative aumentano l’aderenza terapeutica e la soddisfazione del paziente (Street et al., 2006).
Perché la dipendenza fa male alla cura?
Perché sposta il centro della tua salute fuori da te.
La letteratura medica e psicologica ha mostrato che la dipendenza emotiva può generare:
Frustrazione reciproca tra medico e paziente
Decisioni sbilanciate e poco informate o rimandate
Ritardo nella richiesta di secondi pareri
Rifiuto implicito dell’empowerment (ovvero della tua autonomia decisionale)
Il gaslighting medico, per esempio, è una forma involontaria (ma a volte anche intenzionale) di disconferma: il paziente porta un problema e il medico lo minimizza, lo nega o lo attribuisce solo a stress, ansia o “suggerimento”. Ma se sei troppo legato a quel medico, potresti non avere il coraggio di opporre resistenza.
Come riconoscere la persona giusta per curarti davvero
Non è detto che sia il medico più simpatico, né il più “disponibile a parole”. Le qualità fondamentali, secondo la letteratura scientifica, sono:
Ti ascolta attivamente, con attenzione
Ti spiega il piano terapeutico con linguaggio chiaro e comprensibile
Ti lascia fare domande, anche scomode
Non ha paura di ammettere i limiti della medicina o dei suoi strumenti
Ti invita a chiedere un secondo parere se serve
Non ti fa sentire “difficile” se chiedi chiarezza
“Un bravo medico ti aiuta a comprendere, non a dipendere.”(da un gruppo Balint, fonte: European Balint Federation)
Cosa puoi fare se senti di essere troppo legato a un medico
Parlane con qualcuno di neutro: un altro medico, uno psicologo, un familiare.
Scrivi nero su bianco: cosa ti ha aiutato e cosa ti ha bloccato?
Cerca alternative, anche solo per vedere se esistono strade diverse
Ricorda: curarsi non è “fare contento il medico”. È stare meglio, per davvero
In conclusione
Hai diritto a:
Essere informato
Fare domande
Cambiare medico
Avere il tempo per capire
Curarti con chi ti vede come persona, non solo come paziente
Avere un buon rapporto con un medico è importante. Ma se per restare in quel rapporto devi rinunciare alla tua libertà, lucidità o salute, allora è tempo di scegliere qualcosa di meglio.
Non devi “deludere” nessuno. Devi solo riprenderti il tuo diritto alla cura vera.
Fonti:
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Mack, J. W., Cronin, A., Taback, N., Huskamp, H. A., Keating, N. L., Malin, J. L., Earle, C. C., & Weeks, J. C. (2016). End-of-life care discussions among patients with advanced cancer: A cohort study. Annals of Internal Medicine, 156(3), 204–210.https://doi.org/10.7326/M11-2597
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Balint, M. (1957). The doctor, his patient and the illness. London: Tavistock Publications.
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Street, R. L., Makoul, G., Arora, N. K., & Epstein, R. M. (2009). How does communication heal? Pathways linking clinician–patient communication to health outcomes. Patient Education and Counseling, 74(3), 295–301.https://doi.org/10.1016/j.pec.2008.11.015
Foglia, M. B., Fox, E., & Chanko, B. (2012). Selective paternalism. AMA Journal of Ethics, 14(7), 582–585.https://doi.org/10.1001/virtualmentor.2012.14.7.ecas2-1207
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