Curare prima, non quando è troppo tardi. La vera sfida dei nuovi LEA sull’idrosadenite suppurativa.
- Giusi Pintori

 - 22 ott
 - Tempo di lettura: 2 min
 

Il prossimo 23 ottobre, la Conferenza Stato-Regioni sarà chiamata a esprimere l’intesa sul nuovo Decreto di aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) — un passaggio storico per il nostro Servizio Sanitario Nazionale.Tra le novità, l’inserimento dell’idrosadenite suppurativa (HS) tra le malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione. Un riconoscimento atteso e importante, ma che oggi riguarda solo i pazienti in stadio III di Hurley, cioè nella fase più grave della malattia.
Un riconoscimento che arriva tardi
Per chi vive con idrosadenite suppurativa, questa novità rappresenta una conquista.Eppure, la domanda è inevitabile: perché riconoscere la malattia solo quando è già avanzata, dolorosa e invalidante?
Lo stadio III è il punto di non ritorno: fistole multiple, infezioni ricorrenti, dolore cronico, compromissione funzionale e psicologica. A quel punto, la cura non è più prevenzione: è gestione di una ferita aperta, nella pelle e nella vita delle persone.
La sfida è curare prima
Le evidenze scientifiche sono chiare: negli stadi I e II, l’idrosadenite può essere contenuta, trattata e stabilizzata. Agire precocemente significa evitare l’escalation, migliorare la qualità di vita e ridurre i costi sanitari. Studi internazionali dimostrano che la gestione dei pazienti in fase avanzata è fino a cinque volte più onerosa rispetto a quella precoce.
Includere almeno gli stadi II (e idealmente anche lo stadio I) nei nuovi LEA non è una richiesta politica: è una scelta di buon senso clinico ed economico.
Una questione di equità e di diritti
Limitare l’esenzione al solo stadio III genera una disuguaglianza tra pazienti: due persone con la stessa malattia non hanno accesso agli stessi diritti, solo perché una è “più malata” dell’altra. Questo contrasta con l’articolo 32 della Costituzione e con i principi dell’universalismo proporzionato promossi dall’OMS: garantire più sostegno a chi ne ha bisogno, non solo a chi è già arrivato alla cronicità conclamata.
Il Piano Nazionale della Cronicità parla chiaro: diagnosi precoce, presa in carico integrata e continuità di cura. È tempo che anche per l’idrosadenite suppurativa questi principi diventino realtà.
L’urgenza di un percorso nazionale
Per rendere davvero efficace il riconoscimento, serve di più:
Includere gli stadi I e II nello schema di esenzione.
Inserire la HS nel Piano Nazionale della Cronicità, con percorsi diagnostico-terapeutici (PDTA) dedicati.
Creare centri di riferimento regionali e reti interdisciplinari con dermatologi, infermieri di comunità, psicologi e medici di medicina generale.
Coinvolgere le farmacie di comunità nel monitoraggio e nell’aderenza terapeutica.
Attivare registri clinici nazionali per raccogliere dati reali e valutare gli esiti delle cure.
Curare presto non è un costo: è civiltà
Il riconoscimento dell’idrosadenite suppurativa nei LEA è un passo avanti. Ma la vera innovazione si misura sulla capacità di prevenire la disabilità, non di certificarla. Curare presto significa ridurre la sofferenza, migliorare la qualità della vita e rendere sostenibile il sistema sanitario.
Nel linguaggio della sanità pubblica, questo si chiama intelligenza istituzionale. Nel linguaggio della vita reale, si chiama cura.
«Riconoscere l’idrosadenite solo allo stadio III significa ammettere che siamo arrivati tardi.
La vera sfida dei nuovi LEA è anticipare la cura: includere le fasi iniziali non è un costo, è un investimento nella salute pubblica, nella dignità delle persone e nell’intelligenza del sistema sanitario. — Giusi Pintori, Direttrice di Passion People APS









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