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Sanità dal basso: il gruppo Facebook di Passion People racconta l’idrosadenite meglio di mille referti




Chi convive con l’idrosadenite suppurativa in Italia lo sa bene: spesso, il dolore non si vede, ma si dice. Lo si scrive, soprattutto. In un messaggio, in un commento, in un post lasciato in un gruppo Facebook.

Ed è proprio lì, tra le parole scritte ogni giorno nel gruppo di Passion People APS, che ascolta davvero dal 2010!

Perché la malattia non parla solo con i referti: parla anche con frasi come “oggi non riesco a muovermi”, “sto scoppiando”, “no ne posso più”. È un linguaggio fatto di sintomi, certo, ma anche di emozioni, di vissuti, di fatica quotidiana.

Il linguaggio dei pazienti con HS: uno studio tutto italiano

Il Centro Survey di Passion People APS ha condotto un’analisi qualitativa sul linguaggio usato dai pazienti italiani affetti da idrosadenite suppurativa (HS) nel nostro gruppo Facebook nazionale.

Abbiamo raccolto, letto e classificato centinaia di messaggi, non per curiosità accademica, ma per una ragione molto concreta: capire meglio come si raccontano i pazienti e cosa ci stanno chiedendo, anche quando non lo dicono esplicitamente.

Cosa dicono davvero i pazienti?

1. Dolore e riacutizzazioni: “Ho l’ascella come una bomba a orologeria”

Il dolore cronico è il protagonista silenzioso. I pazienti lo descrivono così:

  • “Non riesco ad alzare il braccio”

  • “Mi si è aperto un altro buco sotto”

  • “Sento come se mi scoppiasse tutto dentro”

Sono parole semplici, spesso crude. Ma ci parlano più di qualsiasi scala da 1 a 10.

2. Vergogna e isolamento: “Non posso indossare una canotta neanche ad agosto”

Molte testimonianze raccontano una vita nascosta. Le lesioni vengono coperte, i rapporti evitati, la pelle vissuta come un nemico.

  • “Non riesco a spiegare questa cosa nemmeno al mio compagno”

  • “Sudo e ho paura che mi si infiammi tutto”

  • “Ho cambiato lavoro perché non reggevo più le visite mediche”

La parola vergogna torna spesso, ma non è detta per farsi compatire. È detta perché è vera.

3. Frustrazione sanitaria: “Ti danno antibiotico e ti rispediscono a casa”

Uno dei temi più accesi è la difficoltà di accesso alle cure:

  • “Il dermatologo mi ha detto che non c’è niente da fare”

  • “Aspetto la visita da nove mesi”

  • “Mi sono sentita trattata come una paziente difficile”

Molti messaggi si trasformano in piccoli sfoghi collettivi. Non per lamentarsi, ma per condividere disillusione.

4. Salute mentale e vita quotidiana: “Mi sta logorando anche dentro”

La salute mentale è un punto centrale. L’HS non si ferma alla pelle. Tanti pazienti raccontano:

  • “Non ho più la forza di combattere”

  • “Mi sento un peso per la mia famiglia”

  • “Ogni giorno mi sveglio con la paura del dolore”

Queste frasi non sono marginali. Sono campanelli d’allarme che dovrebbero risuonare anche nelle stanze della sanità pubblica.

5. Speranza e alleanza: “Qui almeno non mi sento sola”

Nonostante tutto, nel gruppo si costruisce un linguaggio della resistenza:

  • “Grazie perché qui non devo spiegare niente”

  • “A volte bastano tre parole per non mollare”

  • “Leggere le vostre storie mi ha salvata”

La forza dei pari è più potente di tante parole cliniche.

Perché ascoltare il linguaggio dei pazienti fa la differenza?

Perché le parole curano. Non sono solo suoni, ma frammenti di vita, segnali di ciò che accade dentro. Sapere come si raccontano i pazienti ci permette di offrire un’assistenza più vicina, più umana, più giusta. Dietro ogni “mi brucia”, “non ce la faccio più”, “sto meglio da ieri”, c’è qualcuno che combatte per la propria dignità.

Nel gruppo Facebook di Passion People APS, ogni giorno costruiamo un lessico condiviso: fatto di dolore, certo, ma anche di riconoscimento, empatia, appartenenza. Non è uno spazio qualsiasi: è un pezzo autentico di sanità dal basso. E chi si occupa di cura ha il dovere – umano e professionale – di ascoltarlo.

Dichiarazione di Giusi Pintori, direttrice di Passion People APS

“Da sedici anni ascolto le persone che convivono con l’idrosadenite suppurativa, e so che il dolore più grande non è sempre quello fisico: è quello che non trova parole, o che viene ignorato. Le frasi che i pazienti scrivono ogni giorno nei nostri gruppi non sono solo testimonianze, sono atti di coraggio e di cura reciproca. Questo studio nasce per dare loro dignità, ascolto e finalmente un posto nella narrazione ufficiale della sanità.

 
 
 

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