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Medicina estetica e dispositivi invisibili: serve una svolta etica



C'èun principio semplice che dovrebbe guidare ogni gesto di cura: sapere cosa si usa, su chi, quando e perché. Eppure, come denuncia con lucidità Enrico Bucci in un articolo apparso il 10 aprile 2025 sul quotidiano Il Foglio, questo principio è oggi disatteso ogni giorno, soprattutto nella medicina estetica privata, dove regna una diffusa "assenza di controllo sistematico" sull'applicazione della normativa Udi (Identificativo unico del dispositivo).

Dal 15 gennaio 2024, chi utilizza dispositivi medici ha l'obbligo di registrare e conservare elettronicamente il codice Udi. È una norma di civiltà sanitaria, che consente la tracciabilità dei dispositivi e tutela i pazienti in caso di difetti, complicazioni o eventi avversi. Ma, come afferma Bucci, "nessuno lo fa rispettare": ministero, Regioni, Asl sembrano immobili, mentre la registrazione dell'Udi resta affidata alla buona volontà dei singoli.

Questa inazione è più di un problema amministrativo: è un corto circuito etico. Perché un dispositivo non tracciato è un dispositivo potenzialmente pericoloso. Perché un paziente che non sa cosa gli è stato iniettato è un paziente abbandonato. E perché un medico che non documenta in modo conforme potrebbe ritrovarsi scoperto di fronte a un contenzioso, come ben sottolinea Bucci: "un intervento perfettamente eseguito, ma documentato in modo irregolare, potrebbe non essere coperto dall’assicurazione".

Nella pratica clinica, la mancata applicazione dell'Udi apre scenari inquietanti:

  • non è possibile fermare l'uso di un prodotto difettoso;

  • non si può garantire la certificazione e la sicurezza dei materiali impiegati;

  • diventa impossibile stabilire responsabilità medico-legali chiare.


"Nel lavoro quotidiano accanto alle persone che vivono una condizione di cronicità o fragilità, ho imparato che la cura non inizia da un farmaco, da una siringa o da una prescrizione. Inizia da una relazione fondata sulla fiducia e sull’accesso consapevole alle informazioni.Per questo, come Passion People APS, sosteniamo da tempo un principio che dovrebbe essere irrinunciabile: non esiste salute senza responsabilità documentata. Ogni persona ha diritto a sapere cosa viene utilizzato sul proprio corpo, in che contesto, da chi e con quali materiali. Questo non è un dettaglio: è una componente strutturale della sicurezza e della dignità della persona assistita.

Nel contesto della medicina estetica privata, dove la domanda spesso nasce dal desiderio di benessere, ma il rischio può diventare molto concreto, la tracciabilità dei dispositivi medici è una garanzia minima. Non può restare una possibilità opzionale affidata alla buona volontà del singolo operatore. La mancata applicazione dell’Udi non è una semplice violazione normativa: è un vuoto di tutela, un rischio clinico latente, una fragilità sistemica che colpisce proprio chi si affida con fiducia.

Abbiamo bisogno di una cultura della documentazione come parte integrante del gesto di cura. Perché ogni paziente – a maggior ragione se fragile – ha diritto non solo a essere curato, ma a essere riconosciuto, informato, protetto", queste le parole di Giusi Pintori, direttore generale di Passion People APS.


Si unisce a questo appello anche Cristiana Murgia, componente dell’associazione ed esperta, lato pazienti, di medicina estetica:

"Molte persone si rivolgono alla medicina estetica con il desiderio legittimo di sentirsi meglio con sé stesse. Ma la bellezza non può prescindere dalla sicurezza. Ogni paziente ha diritto di sapere esattamente cosa viene utilizzato, con quali materiali e da chi. La tracciabilità Udi non è solo una questione tecnica: è il fondamento della fiducia. Se manca, si rompe il patto tra professionista e persona. E a rimetterci sono sempre i più fragili, quelli che non hanno strumenti per difendersi."

La verità è che il sistema Udi è già operativo, le aziende produttrici si sono già adeguate, la normativa è in vigore. Ma manca la volontà politica e amministrativa di chiudere il cerchio, di "attivare controlli sistematici" e di fare dell’Udi non un codice su una scatola, ma una reale garanzia di sicurezza.

Come operatrici e operatori della cura, come associazione che lavora con la fragilità, non possiamo più tollerare che la tracciabilità sia considerata un lusso. Chiediamo:

  • che il Ministero della Salute attivi un piano nazionale di controllo e monitoraggio sull'applicazione dell'Udi;

  • che le Regioni prevedano nei Piani sanitari azioni di formazione e verifica;

  • che venga introdotto un obbligo di trasparenza attiva nei confronti del paziente.


L'Udi non è un dettaglio tecnico: è una garanzia di umanità nella pratica sanitaria. Se davvero vogliamo una medicina estetica etica, sicura e civile, è da qui che dobbiamo partire.

"Serve trasparenza, serve informazione corretta verso i pazienti", scrive ancora Bucci. E ha ragione: perché nessun gesto di cura può essere davvero tale se non è tracciabile, dimostrabile, giustificabile.


Fonte: Il Foglio Enrico Bucci


 
 
 

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